19 dicembre 2011

Abbiamo bisogno di Riforme e non di Manovre

Editoriale

Negli ultimi decenni abbiamo avuto circa una manovra all'anno. Erano state varate tutte per risanare i conti pubblici. Hanno invece sortito l'effetto opposto.
Non sembra ci sia alternativa con la manovra attuale, pur cambiando il Ministro dell'Economia "Tre-monti" con un solo "Monti" sembra che questa sia l'unica voce che subisca una diminuzione in percentuale ragguardevole (2 terzi) rispetto quanto i cittadini han sempre dovuto sopportare di queste "ricette" di salvezza nazionale (direi che in questa occasione abbiamo saputo peggiorare).
Voler credere che la soluzione sia ancora di gestire l'esistente ci allontana da una realtà che diventa l'unica possibile: l'esistete deve essere cambiato!
Mercoledì 30 novembre scorso, la Camera ha inserito l’obbligo del pareggio del bilancio nella nostra Costituzione. Una decisione inutile, perché quell'obbligo ci è stato già imposto “dall’Europa”
Una forma vergognosa  perché non fissa un limite né alle spese né al prelievo fiscale e da qui tutto il pericolo che possa diventare una “licenza di uccidere” a favore dello Stato e ai nostri danni.
In questa manovra c'è molto di tutto questo.
Si continua a parlare di evasori ma ci si allontana dal problema. Non è per carenza di entrate che è lievitato a dismisura il debito pubblico. Dovremmo sapere (ma quando mai queste cose vengono dibattute alla luce del sole?!?) che le entrate totali del settore pubblico si sono più che quintuplicate fra l’80 ed il ’93: in quegli anni, mentre il reddito reale aumentava del 2,5% all’anno, le entrate totali del settore pubblico, in termini reali, aumentavano del 5,5% all’anno. E ancora, dal 1990 al 1993 l’aumento delle entrate ha assorbito l’ottanta per cento dell’aumento del prodotto. Ed allora peché tutto questo?
Crescita incontrollata della spesa pubblica.
Con queste cinque parole si può JEWELS BAGS AND DREAMS da FORZIERI.COMriassumere tutto!
Se dal 1980 al 1993 le spese del settore pubblico fossero in aumento in modo da proteggerne il valore reale, ovvero in misura proporzionata alla crescita del reddito ma non oltre, nel 1993 il bilancio avrebbe avuto un saldo attivo e il debito pubblico avrebbe rappresentato il 16% del P.I.L., anziché oltre il 120%.

Una misura modestissima, di contenimento non del livello assoluto della spesa, ma della sua rapidità di crescita, sarebbe bastata per eliminare del tutto il problema dell’indebitamento in Italia in soli tredici anni. Non sarebbe stato necessario licenziare nemmeno un dipendente pubblico, ridurre lo stipendio a nessuno, né rinunciare a nessuna delle tante iniziative del nostro settore pubblico, sarebbe bastato un minimo di continenza nella rapidità di crescita della spesa. Questo non è accaduto e certamente la colpa non è del contribuente italiano (Antonio Martino - Economista).

Solo la capacità di risparmio delle famiglie italiane è stata in grado di continuare a finanziare questo disastro pagando però il caro prezzo del calo degli investimenti e la fine dello sviluppo. Il risparmio delle famiglie che è servito a finanziare il deficit non ha potuto essere investito.
 
Oggi il debito pubblico è il 52% del reddito nazionale e diventa quindi assurdo e criminale parlare di pareggio di bilancio quando questi era stato pensato per un debito che rimanesse inferiore al 10%.

Quindi la via obbligata (ma che finora nessun governo sembra voglia imboccare) non è il pareggio di bilancio ma la drastica riduzione della spesa pubblica.

Intristisce la caparbietà con cui governi tecnici e/o politici vogliano propinarci sempre la stessa cura a discapito del peggioramento del malato anche quando ineludibilmente lo si vede già con un piede nella fossa.

E' un sistema autoreferenziale che si poggia sui "trasferimenti" che hanno come ultimo aggettivo "moustruosi".
Governo centrale, amministrazioni pubbliche , amministrazioni locali, enti previdenziali, autorità autonome e chi più ne ha più ne metta – sono in realtà un sistema di trasferimenti.
si finanziano prelevando quattrini dalle tasche di alcuni italiani per trasferirli in quelle di altri italiani.

Parlano di servizi (che non funzionano), di solidarietà (per zittirci nella coscienza), di sostegno ai più deboli, ma chi ci crede? Se il 51% del reddito nazionale andasse al 20% più povero della popolazione, lo renderebbe immediatamente agiato e in Italia non avremmo più la povertà.

Pronunciano con disinvoltura la parola Equità ma sembra che l'unica applicazione reale la si possa trovare solo sul nome di Equi-talia, tristemente famosa per le cartelle esattoriali.

Dove l'equità? Chi paga non necessariamente appartiene alle fasce di reddito più alte, chi riceve non necessariamente a quelle più basse. Il finanziamento dell’università, della sanità, e degli enti locali molto spesso proviene dalle tasche di contribuenti a reddito medio - basso o molto basso, e va in quelle di persone non indigenti, e la redistribuzione diventa regressiva.

"Il Sistema Sanitario Nazionale non si tocca!" Ormai tutti siamo allineati con questa litania senza mai riflettere che, per come è pensato, anche i più ricchi (quelli molto ricchi, il famoso 1% in Italia) ricevono “gratis” i servizi e le medicine fornite dal sistema sanitario nazionale: tassiamo il 99% meno abbiente per dare all’uno per cento più ricco!

Italia foresta di Sherwodd per Robin Hood alla rovescia.
E dunque ecco l’insensato numero di livelli di governo locale e il loro irragionevole numero, ecco che si continua  a mandare in pensione gente in età lavorativa,  continuare a bruciare cifre astronomiche in un servizio sanitario nazionale inefficiente, pletorico e corrotto, e (e brutto da dire ma ci va un ecc.)....

Non serve a nulla gestire l’esistente, bisogna cambiarlo.

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